Bolgheri è un mito curioso. La quasi totalità degli Italiani non c'è mai stata, eppure lo vagheggia come un luogo magico, incantevole, sereno e rasserenante. Tutto merito dei tre versi iniziali di una delle più brutte poesie del Carducci
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar
quasi in corsa giganti giovinetti
Versi che tutti conoscono, seppur spesso in modo distorto (la maggior parte è convinta che i cipressi vadano da Bolgheri a San Guido, e non viceversa), senza, per loro fortuna, essere andati oltre la terza o quarta riga.
Nonostante l'abbondare di aggettivi ed immagini forti, ("alti e schietti", "in corsa", "giganti"), l'immaginario collettivo si è uniformato nel costruire una visione bucolica, quasi che al posto dei cipressi ci fossero spalliere di rose, tenui e tenere, e non giganti ma vestali dagli abiti svolazzanti.
Quando qualcuno si stacca dall'universo del sogno e ha la ventura di recarsi fisicamente a Bolgheri, ecco allora che le sorprese si moltiplicano. Il "salire" da San Guido a Bolgheri perde molto della spiritualità idealizzata e si trasforma in una esperienza di sensazioni forti e concrete, fatte di visioni, profumi e percezioni tattili. E l'aggirarsi per le sue quattro strade, così semplici ed ugualmente così ricche di fascino, cancella l'idea di "piccolo paradiso" indotta dai versi e la rimpiazza con quella di un eden molto terrestre, di quelli in cui val la pena lasciarsi andare al peccato (anche se, ormai, non più molto originale).
Con un curioso e straordinario parallelismo, anche il vino di Bolgheri è un mito a due facce. Nell'immaginario collettivo, Bolgheri è associata ad un vino rosato, lieve e gentile, fresco e piacevole, da bere contornati da amici quieti e rilassati, per nulla inclini alle caciarate che accompagnano le brigate festanti nelle osterie dei Castelli romani e nelle balere romagnole. Un vino versato nei calici da ancelle flessuose piuttosto che da osti rubicondi o saraghine ammiccanti.
Anche in tema di vino, a Bolgheri, il passaggio dal sogno alla realtà comporta un brusco risveglio, una disillusione attraverso la quale si approda a qualcosa che è mille volte meglio dell'illusione. Un rosso potente, complesso e denso di tutte le sensazioni possibili prende il posto del vagheggiato vinello bucolico e non lascia nemmeno lo spazio al più azzardato (o nostalgico) dei paragoni. Ancora una volta la sensualità scaccia il sogno, la vista lascia il posto al tatto, il corteggiamento all'amore. Le brigate di amici si dissolvono e si scopre che davanti ad un rosso di Bolgheri si può restare anche da soli, in completa beatitudine. In due, però, è decisamente meglio.
NOTA: la poesia termina con questi quattro versi, tutt’altro che bucolici
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
rosso e turchino, non si scomodò:
tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
e a brucar serio e lento seguitò.