60
anni fa i Sommelier italiani hanno iniziato ufficialmente la loro attività, dando l’avvio ad una gloriosa e meritoria stagione di conoscenza e di promozione della cultura del vino.
Quella di allora era un’Italia di vini malfatti, approssimativi, più torchiati che pigiati, e quei Sommelier si affacciavano ad un mondo enologico che per qualche
millennio era stato governato da Quattro Cavalieri succedutisi in sequenza, spesso affiancati, trovando infine, uno alla volta, la propria Apocalisse.
In ordine temporale, il Primo Cavaliere (il Piacere) è stato quello che si è impadronito e ha governato l’evoluzione di questo nuovo nettare che aveva il pregio di donare, oltre alla dolcezza, una sensazione mai provata prima: l’ebrezza. Fino ad allora, nessuna bevanda aveva regalato agli uomini quell’insieme di sensazioni che spaziano dall’allegria alla rilassatezza, che spingono alla socializzazione e allentano i freni inibitori. Era perfetto per gioire insieme, per allietare le feste, per cementare amicizie e alleanze, per alimentare il fuoco degli amori nascenti.
Il Primo Cavaliere consegnò il vino nelle mani dei potenti, politici, guerrieri, ricchi mercanti, poeti, filosofi… E glielo consegnò come dono di una divinità, Dioniso per i Greci, Bacco per i Romani.
Fu così per qualche millennio, fino a quando i generali romani realizzarono che quell’euforia indotta dal vino poteva essere un carburante strategico per i loro eserciti, capace di infondere ardire ed energia nervosa.
Il Secondo Cavaliere (il Coraggio) prese in mano le redini di questa nuova stagione del vino e da quel momento esso accompagnò gli eserciti in tutte battaglie e, affinché non mancasse, i Romani piantavano un vigneto in ogni nuova terra conquistata.
Pochi secoli dopo apparve sulla scena il Terzo Cavaliere (la Fede), avviato per una strada mai battuta dei primi due, la spiritualità. E, in particolare, la spiritualità di cui era pervaso il Cristianesimo. Bastò ispirarsi all’evento cruciale dell’Ultima Cena per porre il vino al centro della liturgia e trasformarlo in un potente simbolo di congiunzione tra la vita terrena e la beatitudine del Paradiso.
In questo modo, il Terzo Cavaliere riuscì a far uscire il vino dai palazzi per farlo approdare prima alle catacombe e poi, via via, fino alle più sontuose cattedrali
Fino al ‘200, il rito dell’Eucarestia consisteva nel dare un pane intero ed un altrettanto intero bicchiere di vino ad ogni fedele. Questo spiega perché, se l’impianto del vigneto europeo fu opera degli eserciti romani, al termine dei secoli bui del Medioevo la sua ricostruzione fu opera soprattutto dei monaci, spinti dalla necessità di rifornire di vino non le caserme ma le chiese dove gli umili accorrevano ogni Domenica.
Pochi
secoli e lo scenario si modifica ulteriormente. Già a nel ‘700 il vino, in quanto carburante degli eserciti, viene soppiantato da liquidi più concentrati e potenti, facili da conservare e da
trasportare: i distillati. Fu questa l’Apocalisse che travolse il Secondo Cavaliere, svuotandolo delle energie e delle motivazioni che lo spronavano a prendersi cura delle sue armate.
In un arco di tempo parallelo, pur con un processo meno repentino, cominciò a trovarsi in difficoltà anche il Terzo Cavaliere.
Il Rinascimento portò nelle chiese l’effetto dirompente delle immagini pittoriche che riuscivano a descrivere molto più efficacemente quel mondo celestiale che una coppa di vino poteva solo far immaginare.
Il simbolo della Comunione fu ridimensionato diventando l’ostia dei giorni nostri e il vino si ridusse a poche gocce negate ai fedeli e bevute solo dal sacerdote.
L’Apocalisse
del Secondo e del Terzo Cavaliere determinò uno sconvolgimento nelle campagne di tutta Europa. Quei vigneti videro svanire la loro funzione storica: produrre vino capace di infondere coraggio o
consolidare la fede.
Ecco quindi che, per la prima volta nei millenni, la grande massa del vino prodotto si avviò a svolgere una nuova funzione, la sua capacità di interagire con la mente passò in secondo piano e
divenne “alimento”, apprezzato soprattutto per le energie che rende disponibili al corpo.
Entra in scena il Quarto Cavaliere (la Fame) e si mette alla testa degli “autoproduttori”, ovvero quei contadini piegati su una vigna tramandata di padre in figlio e, in
assenza del Secondo e del Terzo Cavaliere, finiscono per produrre il vino per se’, per i parenti e, spesso, per qualche congiunto emigrato per lavorare in fabbrica.
Quando, nel 1965, entrarono in scena i Sommelier anche il Quarto Cavaliere stava perdendo energie e motivazioni, gli autoproduttori, stanchi di bere male, estirpavano le vigne oppure si
associavano a qualche cantina sociale, mostrando di preferire poco denaro sicuro a molto vino cattivo.
L’unico ancora baldanzosamente a cavallo del suo destriero era il Primo Cavaliere, quello la cui vocazione era spingere le sue
genti verso il piacere, l’allegria e, perché no, l’oblio.
I Sommelier se ne fecero scudieri dando l’avvio ad una stagione gloriosa ed emozionante. Quello
sparuto manipolo di sognatori, con il cavatappi in una mano e il bicchiere nell’altra, è andato crescendo di anno in anno e, alternando entusiasmo, rigore, errori, studio e ingenuità, è stato di
stimolo e ha dato un contribuito fondamentale alla crescita qualitativa dei vini italiani.
Nel
momento in cui media e politici danno spazio a chi si straccia le vesti per la contrazione dei consumi e vagheggiano soluzioni di bassa lega quali i vini low alcol e dealcolati, una nuova generazione
di produttori si è sentita, fin dal primo momento, paladina del Primo Cavaliere, e ha avviato un fitto dialogo con il crescente movimento dei Sommelier, schierati, sempre e solo, dalla parte di chi
il vino lo compra, lo beve e se lo gode
Il risultato è che la platea dei consumatori in cerca di qualità è cresciuta enormemente, il mondo della produzione ha fatto passi da gigante nella direzione dell’eccellenza, misurabile oggi non solo in termini di successo commerciale ma, anche e soprattutto, di egemonia culturale, riconosciuti ai nostri vini in ogni angolo del mondo.
Questo proliferare di qualità, questo moltiplicarsi di produttori degni di attenzione e riconoscimenti ha reso il nostro lavoro più faticoso ma, al tempo stesso esaltante.
Ne sono testimonianza i 747 vini insigniti da Bibenda 2025 con i “5 Grappoli” e gli altri 12 mila racchiusi in un arco di pochi
centesimi di punteggio, che dipingono il quadro più completo ed emozionante dell’enologia italiana di oggi.
Il Primo Cavaliere ha ormai ripreso lo scettro del comando e, insieme ai suoi alfieri, sta cavalcando per consolidare e accrescere il suo dominio fino alle più lontane propaggini dei mercati
mondiali.