Pitagora non è l’inventore del teorema che porta il suo nome: le proprietà del teorema erano utilizzate, soprattutto per la misurazione delle proprietà agricole e immobiliari, in Cina e in Mesopotamia già mille anni prima.
Viene ascritto a Pitagora solo in quanto fu il primo a dimostrare che il teorema era valido in “assoluto” (e/ma solo relativamente a valori “finiti” dei lati del triangolo retto).
Questo perché la dimostrazione della sua validità è stata da lui ottenuta con un processo “geometrico” e non “aritmetico”, ovvero partendo da dati “reali” (e, quindi, finiti come sono tutti quelli delle figure geometriche) e non “astratti” (come sono quelli descritti dai numeri, che possono essere sia finiti che infiniti).

Pitagora parte dalla figura geometrica sottostante e giunge alla determinazione del valore di c attraverso un semplice ragionamento geometrico che funziona "sempre", qualunque siano i valori di a e b (e funziona "sempre" sia che affrontiamo il problema in chiave geometrica che aritmetica):

 Questa è la figura geometrica da cui parte Pitagora: un quadrato il cui lato è pari alla somma dei lati ab del triangolo retto (dei quali è noto il valore numerico).
Se al suo interno costruiamo un quadrato il cui lato ha valore 
c (ovvero, l'ipotenusa del triangolo di partenza, di valore numerico ignoto), la figura risulta composta da questo quadrato e da 4 triangoli aventi base e altezza pari ad a b.


Tradotto in formula aritmetica, questo insieme si può descrivere così:
                  
c2 = (a b) 2 – 4 x [(a b) : 2]
Se diamo un valore numerico qualunque ad a e b, la struttura della figura geometrica risultante sarà sempre la stessa e ci porterà alla determinazione del valore di c.
Dati a=3 e b=4 la formula diventa:
                 
c2 = (3 + 4)2 – 4 x [(3 x 4) : 2]
ovvero:     
c2 = 49 – 4 x [12 : 2]
ovvero:    
c2 = 49 – 24
quindi:      
c2 = 25c = 5

L'aritmetica e la matematica (*) nascono per risolvere problemi pratici.
Noi affrontiamo quotidianamente problemi di natura pratica con i quali ci interfacciamo attraverso la geometria (ovvero: desumendoli e/o collocandoli nello spazio).
L'aritmetica e la matematica sono un'astrazione dei problemi pratici che aiutano a risolverli ma, una volta risolti, noi li riconduciamo alla praticità.

 

Per questo, le tanto vituperate unità di misura "imperiali" (piede, pollice, yard, miglio) nella conversione da aritmetica a geometria (ovvero da teoria a pratica) funzionano meglio: il piede si può dividere per 2, 3, 4, 5, 6, 8, ottenendo sempre misure finite; il 10 fornisce misure finite solo se lo dividi per 2 e per 5. Già se lo dividi per 3 ottieni una misura imprecisa, ovvero 3,3 periodico, quindi infinito.

Eppure, a occhio, quasi tutti riusciamo a percepire che in una stanza la parete A misura un terzo della parete B.
Ma, se la parete B misura 10 metri, usando il sistema decimale, la parete A avrà un valore infinito (3,3 metri periodico).

(*) L'aritmetica si concentra principalmente su operazioni numeriche di base come l'addizione, la sottrazione, la moltiplicazione e la divisione. La matematica, invece, comprende una vasta gamma di concetti, tra cui algebra, calcolo, teoria dei numeri, statistica, e così via.

COMMENTI:

Drusiano Dino Cipriani: Io sapevo che erano stati solo i Babilonesi ad averlo scoperto.
Stefano Milioni: Ritengo che dovremmo scrollarci di dosso il mito fuorviante (e tutto occidentale) dell’AUTORE.
Ovvero, Cinesi e Babilonesi si servivano comunemente di questo metodo per rendere più agevoli e meno laboriose le misurazioni dei terreni e dei manufatti di grandi dimensioni e non si sono mai appuntati sul petto la medaglia per averlo “inventato”.
Lo stesso è accaduto per i monaci coreani che già secoli prima di Gutenberg utilizzavano i caratteri mobili.
Ma - già! - noi dobbiamo avere ad ogni costo un “autore” per ogni cosa. Per cui attribuiamo a Dom Perignon l’invenzione dello Champagne (mentre altro non era che l’applicazione di un metodo messo a punto dall’inglese Christopher Merret ed illustrato quasi un decennio prima alla Royal Society di Londra), al Barone Ricasoli quella del Chianti (che altro non era che la codificazione delle migliori pratiche vinicole utilizzate in quella zona) e a Steve Jobs quella del Macintosh (che era un progetto della Xerox, abbandonato e poi passato alla Apple come scarto di magazzino).