L'espansione dei consumi di carne bovina in Italia dagli anni ’60 in
poi, oltre che da ragioni strettamente economiche, è stata condizionata pesantemente dall'atteggiamento psicologico del consumatore.
Nel periodo del cosiddetto "miracolo economico", una grossa fetta del maggiore reddito a disposizione degli italiani é stata indirizzata verso i consumi alimentari, in particolare carni bovine:
una sorta di rivalsa verso periodi in cui determinati consumi erano negati, nella routine quotidiana, alla famiglia italiana.
Si é trattato di una espansione di consumi collegabile labilmente a necessità nutrizionali: in pratica consumare carne bovina voleva dire riuscire ad affermare, nell'ambito familiare e sociale,
il proprio nuovo benessere.
Questo ha comportato un incremento enorme dei consumi di carne bovina e, tra questi, dei tagli di pregio e più costosi.
Parallelamente, si é verificata una evoluzione degli stili di vita con una progressiva riduzione del tempo dedicato, dalla donna in particolare e dalla famiglia in generale, alla preparazione del cibo: la donna, lavorando al di fuori dell'ambito familiare, si é vista ridurre il tempo a disposizione per cucinare. Questo ha determinato un ulteriore avvicinamento tra certa carne bovina e le famiglie: i tagli pregiati si prestano meglio ad essere cucinati velocemente. Infatti, l'atto di porre una fetta di carne in una padella o su una piastra rovente si esaurisce nell’arco di pochi minuti e risolve due problemi: da una parte si riafferma la nuova condizione economica e dall'altra ci si allinea ai comportamenti indotti dal il nuovo stile di vita della famiglia.
Questa linea di tendenza si é protratta per 20-25 anni e poi ha
cominciato a cambiare perché si é affievolita la componente di gratificazione psicologica e sociale, in quanto oggi non costituisce più una dimostrazione di ricchezza mangiare lombate e filetto,
o comunque carne bovina in generale. E, contemporaneamente, tutta l'industria alimentare si é adeguata ai nuovi stili di vita.
Nei negozi e nei supermarket é cresciuta a dismisura l'offerta di prodotti altrettanto veloci da preparare, alternativi alla carne bovina; contemporaneamente sono stati sfatati alcuni miti sui
pregi dietologici della carne bovina ed il mangiare leggero e non ingrassante ha smesso di identificarsi con bistecca e insalatina.
E' iniziata una controtendenza anche se i consumi rimangono tuttora elevati e tengono in piedi soprattutto il grosso mercato delle importazioni, vuoi per deficienza del mercato interno, vuoi per
scarsa competitività (in termini di prezzi) del prodotto nazionale.
QUALITA' DELLA VITA E QUALITA' DELLA CARNE
L'allargamento indiscriminato dei consumi ha portato anche ad un
abbassamento qualitativo del prodotto.
Il ricorso ad importazioni sfrenate da tutte le piazze, determinato da una richiesta isterica del mercato, ha allentato i freni del controllo qualitativo: la realtà é che oggi il mercato è invaso
da carni di livello qualitativo standard tendente al basso, sulle quali é molto difficile esercitare dei controlli trattandosi di carni importate dall'estero e sulle quali noi non possiamo
intervenire a livello di normativa nella fase della crescita.
In sintesi, il consumo della carne è un consumo che si è massificato e standardizzato per quanto riguarda i livelli qualitativi, fruito da un utilizzatore finale fondamentalmente ignorante e
mantenuto nella sua ignoranza da una totale mancanza di informazione sul prodotto, assente tanto a livello educativo (scuola) che editoriale (quotidiani, periodici, televisione, libri). Con
l'aggravante che ormai, molto spesso, l'interfaccia commerciale del consumatore, il macellaio, vive nella sua stessa ignoranza.
La carne nazionale di maggior pregio non riesce ad emergere proprio perché il mercato non é sensibilizzato alla qualità e l'unico parametro di differenziazione rimane il maggior prezzo che, non
essendo associato a corrispondenti parametri qualitativi, non costituisce un plus ma un handicap.
LA CARNE NON QUALIFICA CHI LA VENDE E LA TRASFORMA
La mancanza della capacità di riconoscimento delle caratteristiche
qualitative delle carni non rappresenta una situazione esclusivamente italiana ma mondiale.
Se andiamo ad analizzare, per esempio, il mondo della ristorazione, prendendo in esame i locali di fascia alta, scopriamo che il ristoratore che si vuole imporre in questa categoria, come materia
prima da elaborare e sulla quale dimostrare la propria abilità, sceglie il pesce e non la carne.
Consultando le guide gastronomiche di tutto il mondo, ci rendiamo conto che nei menù dei ristoranti posti ai vertici qualitativi è sempre rilevante la presenza del pesce a discapito della
carne.
Questa scelta è determinata proprio dal fascino della materia prima: il pesce si caratterizza per la sua difficoltà di reperimento, di trasporto, di conservazione e di trattamento e quindi chi
opera con il pesce, e lo fa apparire buono, esprime qualità professionali maggiori di chi opera con la carne.
Se il mercato della ristorazione si è evoluto in questo modo (ed anche quello del consumo privato si evolve in maniera convergente), vuol dire che nelle attribuzioni di valore al prodotto "carne
bovina" stanno emergendo delle valenze negative. Nonostante questo, comunque, è ipotizzabile che ci siano vaste aree di intervento per poter operare una riqualificazione a livello di immagine del
prodotto carne.
Per recuperare la carne ai piaceri della tavola e consumarla dando soddisfazione al gusto ed al tempo stesso riconducendola nell’ambito di parametri accettabili – se non, addirittura virtuosi – dal punto di vista dietologico e salutistico, basterebbe mettere il consumatore nelle condizioni di saperne di più, conoscerne meglio i pregi ed i trattamenti ottimali. E, soprattutto, bisognerebbe riuscire a colmare il gap linguistico a causa del quale un taglio pregiato come la “noce” a Bologna si chiama “bordone”, a Firenze “soccoscio”, a Genova “pescetto, a Napoli “pezza a cannello”, a Palermo “bausa” e a Torino “boccia grande”.
Qui di seguito, un piccolo contributo per chiarire le idee a quei consumatori mossi dalla curiosità di tornare (o, finalmente, approdare) ai piaceri della carne.