Viviamo nell'evo dell'amicizia. Mai come in questi anni si é data tanta importanza alle relazioni amichevoli di ogni natura. Poter contare su una nutrita schiera di "amici" é un punto d'onore, un segno di successo o, come minimo, di autorealizzazione.

Così nascono le categorie: gli amici di città, gli amici del week-end, quelli delle vacanze, quelli dell'hobby, e poi d'affari, culturali, di partito, sindacali, alternativi, off. Le relazioni sociali coltivate così intensamente comportano, necessariamente, incontri che culminano, nella stragrande maggioranza dei casi, in pranzi e cene più o meno programmate, più o meno improvvisate.

 

Quando ci si incontra fuori casa l'impegno é abbastanza limitato (a parte le proibitive entità dei conti). Si va dall'oste di fiducia, si consulta la guida gastronomica, si segue il consiglio di qualche amico.

In casa, invece, le cose si complicano. Un po' per chi invita (ma é una sua scelta e sa a cosa va incontro) e tanto per chi é invitato. Può accadere, infatti, che si accetti ospitalità senza pensarci molto, ma il fatto determina sempre, inevitabilmente, lo scatenarsi automatico del meccanismo della reciprocità: bisogna ricambiare. E non c'é mente più confusa di quella dell'ospite a cuor leggero nel momento in cui si rende conto che deve organizzare qualcosa in casa propria.

 

La prima idea é quella di organizzare un pranzo faraonico e totale, da entrare negli annali della gastronomia, roboante di nomi francesi, dove qua e là spuntano vocaboli ammiccanti, come caviale (uova di lompo), champagne (il prosecchino), tartufo (la salsa in tubetto "al tartufo"), ecc.. Ma subito gli entusiasmi si smorzano, considerando le dimensioni del tavolo, i bicchieri disponibili, l'insufficienza delle sedie, le sconsolanti e limitate dimensioni della padella più grande rinchiusa nei mobili di cucina. Qualcuno va anche a rovistare tra i regali di nozze mai usciti dagli imballaggi, e lo sconforto cresce.

 

TUTTO E SUBITO

A questo si aggiunge il legittimo desiderio di chi si lancia nell'impresa, di cercare di soddisfare tutte le esigenze di obbligo sociale con una sola mossa. Ma i conti son difficili a tornare.

 

A meno che non si slitti nella famigerata "cena in piedi".

I vantaggi sono molteplici: non c'é problema di sedie, l'atmosfera si fa subito informale, tanto da giustificare tovaglioli di carta e piatti, posate e bicchieri di plastica, non si pone limite al numero degli inviti, il casino farà passare inosservate certe incertezze gastronomiche della padrona di casa. Ideale.

 

Ecco quindi i malcapitati ammassati in poche stanze ad elaborare, tra sorrisi e strette di mano, strategie di sopravvivenza e conforto, adocchiare panche, cassettiere e casse acustiche, qualunque cosa possa trasformarsi, una volta rotto il ghiaccio, in sedile o punto di appoggio.
Il momento chiave é l'arrivo dei cibi in tavola. Di solito, i padroni di casa, con il nobile fine di non trascurare i propri ospiti passando la serata in cucina, si tolgono il pensiero delle cibarie servendo subito tutto insieme, antipasti, primi, insalate (quante insalate!), secondi e dolce. E la ressa intorno al buffet si fa subito caotica, i piatti si caricano di cibi all'inverosimile (vista l'aria che tira c'é il rischio di farsi soffiare qualche portata), ammassati e mischiati gli uni agli altri in barba a qualunque banale regola gastronomica.

 

I più veloci corrono ad accaparrarsi un davanzale, la tastiera del pianoforte, un ripiano libero della libreria. Gli altri iniziano una danza goffa e commovente alla ricerca di un equilibrio che non troveranno mai. Il piatto nella sinistra, che si flette sotto il peso delle vivande e scotta. Nella destra il bicchiere che non deve essere impugnato vigorosamente, altrimenti si accartoccia. Nella stessa mano anche una forchetta, impugnata tra il pollice e l'anulare. Mentre il pane può essere tenuto, se é a fette, tra le nocche dell'indice ed il medio.

 

LA SFIDA (PERSA) ALLE LEGGI DI NEWTON

Riusciti in questo sarebbe tutto risolto se i cibi non richiedessero sempre, immancabilmente, l'ausilio di posate più efficienti di quelle di plastica in dotazione.

Gli ospiti di mano meno sicura si rovesciano tutto addosso. I raffinati saltano la cena. I più pazienti si mettono in lista d'attesa per il bracciolo di una poltrona. In ognuno si scatena la creatività più sfrenata: si scopre che la bocca può essere usata, oltreché per mangiare, anche per reggere, temporaneamente, la forchetta, un grissino, una costa di sedano sottratta al vassoio delle crudité. Si cercano anfratti ove appoggiare temporaneamente il bicchiere certi di ritrovarlo, solo ed intoccato, dopo pochi minuti. Le tasche della giacca diventano una tentazione troppo forte per riporre tutto ciò che é asciutto e non lascia troppi residui. Qualcuno sfida il gelo della notte e conquista il terrazzo, con i suoi davanzali, lo stenditoio, la lavatrice, tutti insperati e meravigliosi punti di appoggio.

 

I fidanzatini tutto miele, lasciando intendere l'intenzione di trasgressioni erotiche, si infilano nella camera da letto dei padroni di casa, scansano cappotti e pellicce dal letto ed apparecchiano, tranquilli, sul comodino.

Verso mezzanotte è tutto un coro di lodi: "Che bella serata!".

 

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